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Mettere a fuoco lo Smart Working: non un compromesso, ma un modo per avvicinare persone e azienda



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Spesso inteso ancora come semplice lavoro da remoto o strumento di welfare, per cogliere il vero potenziale serve comprenderne appieno il senso e investire su politiche organizzative, tecnologie, rivisitazione degli spazi e stili di leadership. Chi lo fa “bene” ha ricadute positive su attrazione dei talenti, inclusività, engagement e work-life balance

Pubblicato il 13 nov 2023



Smart Working 2023

Lo Smart Working non è un fenomeno in declino, tutt’altro. Sono i lavoratori stessi a richiedere oggi più flessibilità. E allora di fronte a uno scenario in cui ci sono aziende che tendono a voler riportare le persone a lavorare in sede è necessario “rimettere a fuoco lo Smart Working” partendo dalle evidenze, come recita il titolo della ricerca 2023 dell’Osservatorio del Politecnico di Milano.

Intanto un punto fermo: nell’ultimo anno i lavoratori da remoto sono cresciuti, toccando quota 3,585 milioni (erano 3,570 milioni del 2022, ma ben il 541% in più rispetto al pre-Covid). In particolare a trainare sono le grandi imprese, dove ne ha usufruito oltre un lavoratore su due.

“Un gioco a somma positiva, in cui vincono tutti”

«Ma quello a cui si assiste in questo momento è una sorta di braccio di ferro, un tiro alla fune, tra dipendenti e organizzazioni, che sembrano mostrare interessi contrapposti – ha detto Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working –. Da una parte le persone non sono più disposte a tornare dal lunedì al venerdì in ufficio, al punto che per avere flessibilità valutano addirittura di lasciare il lavoro. Dall’altra ci sono le aziende che ancora faticano a comprendere pienamente il senso del lavoro agile. C’è chi lo associa semplicemente al lavoro da remoto o a mero strumento di welfare, e, in generale, ci sono realtà che a tratti lo adottano per necessità o per convenzione, piuttosto che per una scelta consapevole. Oggi più che mai è quindi necessario identificare lo Smart Working per quello che è realmente: non un compromesso o un male necessario, nemmeno un diritto acquisto o un fine in sé, ma uno strumento di innovazione per ridisegnare la relazione tra lavoratori e organizzazione».

Who's Who

Mariano Corso

Docente di Leadership & Innovation del Polimi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR e dell'Osservatorio Smart Working del Polimi, Responsabile Scientifico di P4I-Partners4Innovation

Mariano Corso

La verità è che lo Smart Working, quando viene adottato in modo appropriato a livello organizzativo, ma soprattutto culturale, è «un gioco a somma positiva, in cui vincono tutti: i lavoratori, che stanno meglio e sono più ingaggiati, e le imprese, che registrano più produttività e una riduzione dei costi. E vince anche la società, che ha meno inquinamento, meno forme di esclusione e tutto sommato anche una minore e inutile urbanizzazione», ha ribadito Corso.

È quindi necessario fare un passo indietro e capire quali impatti lo Smart Working stia avendo su imprese, lavoratori e società nel suo complesso e quanto incide il modo in cui viene adottato. Anche perché sicuramente bisogna prendere atto che c’è ancora molto da fare, ma anche comprendere quanto un approccio immaturo incida sulle prestazioni.

Lo Smart Working nel 2023: modelli e obiettivi

Quando si parla di adottare in modo consapevole e strutturato lo Smart Working bisogna partire dalle quattro dimensioni su cui si fonda: le policy organizzative; le tecnologie; la riorganizzazione degli spazi; i comportamenti e gli stili di leadership. In generale, le aziende che hanno iniziative “mature” rispetto a tutti e quattro i pilastri registrano risultati più che positivi in termini di capacità di attrarre talenti, inclusività, engagement delle persone e, ovviamente, work-life balance.

Dalla ricerca dell’Osservatorio è emerso che quasi tutte le grandi imprese (96%) prevedono iniziative di Smart Working, in larga parte con modelli strutturati. E c’è un passaggio ulteriore: il 20% si sta impegnando a estendere questo paradigma anche a profili tecnici e operativi precedentemente esclusi.

Nel 56% delle PMI dove lo Smart Working è presente i modelli adottati sono informali e gestiti a livello di specifici team. Lo stesso vale in generale anche per il 61% degli enti pubblici: le iniziative strutturate sono presenti soprattutto nelle realtà di maggiori dimensioni.

Ma questi numeri non riescono a fornire un quadro completo. Per comprendere appieno a che punto si trovano le aziende italiane l’Osservatorio ha sviluppato un modello che analizza la maturità delle iniziative rispetto alle quattro leve dello Smart Working.

In generale è emerso che le grandi imprese sono un po’ più avanti oggi su tutte le dimensioni: a essere maturo su tutte le dimensioni è il 52%, contro il 16% della PA e il 15% delle PMI.

A questo punto la vera domanda da porsi è: “Come questa evidenza condiziona le prestazioni?”

«Quello che abbiamo rilevato – ha sottolineato Corso – è che le organizzazioni più mature hanno impatti sulle principali prestazioni decisamente migliori, soprattutto per quanto riguarda attrattività, engagement, innovazione, efficienza e qualità.

E questo poi non fa altro che essere in linea con quello che si prefiggono le grandi imprese quando adottano lo Smart Working: puntano infatti sul miglioramento del benessere organizzativo dell’engagement e dell’attrattività. Invece, le piccole e medie aziende e la PA hanno come obiettivo la conciliazione per i lavoratori. Queste spinte, comunque oggi si trovano a dover combattere alcuni freni, come quello della cultura manageriale, sentito da grandi e medie organizzazioni, o dello scetticismo, in termini di natura stessa e del valore dello Smart Working, mostrato ancora da alcune piccole realtà e dalla PA.

Engagement, benessere e prestazioni delle persone: l’altra faccia del lavoro agile

Come ha messo in luce l’Osservatorio Smart Working 2023, engagement, benessere e prestazioni, in particolare, cambiano in modo significativo in base alla tipologia di impiegato: se si è uno smart worker vero – che lavora per obiettivi, con flessibilità di luogo e oraria -, un ‘remote worker no smart’ che ha la possibilità di lavorare da remoto ma non ha interiorizzato il lavoro per obiettivi, o un lavoratore ‘onsite’ che non ha alcun tipo di flessibilità.

Per quanto riguarda l’engagement, gli smart worker riportano livelli medi superiori rispetto ai remote non smart: sono più ingaggiati, più appassionati, attaccati all’azienda. Rispetto alla dimensione del benessere, declinato in relazionale (con i capi e colleghi), psicologico e fisico, gli smart worker in media stanno meglio rispetto a tutte e tre le categorie comparati alle altre tipologie di lavoratori, e soprattutto ai ‘remote non smart’. Per quanto riguarda poi l’aspetto psicologico è interessante notare che non solo gli smart worker stanno meglio, ma chi fa Smart Working male, i ‘remote non smart’, sta peggio rispetto a chi ha alcun tipo di flessibilità. «Questo rafforza la necessità di adottare in modo strutturato lo Smart Working, che altrimenti potrebbe diventare un boomerang che si ritorce contro le persone e l’organizzazione».

Per comprendere poi l’impatto sulla produttività, l’Osservatorio Smart Working 2023, in collaborazione con BVA Doxa, ha chiesto alle persone di autovalutarsi su tre dimensioni: l’autonomia e la capacità di sentirsi responsabilizzati, l’efficienza nell’organizzare, il lavoro e la capacità di innovare processi e attività. Ancora una volta gli smart worker sono più soddisfatti delle loro prestazioni, soprattutto rispetto all’autonomia e alla responsabilizzazione, che poi di fatto sono i principi cardine del paradigma dello Smart Working. Non solo, gli smart worker veri hanno anche dichiarato di aver raggiunto prestazioni oltre le aspettative nelle valutazioni dei loro capi.

Servono leadership e manager “smart”

Quando si parla di Smart Working, però, non bisogna sottovalutare due rischi importanti, laddove non sia gestito in modo opportuno: l’over-working e il tecnostress che oggi affliggono 3 lavoratori su 10. «Spetta alle organizzazioni aiutare le persone a gestire questi aspetti per evitare che sconfinino in burnout e che abbiano ricadute sulle performance – ha ribadito Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working. Questo richiede alle organizzazioni che decidono di abbracciare lo Smart Working di adottare uno stile di leadership “smart”, solo così è possibile migliorare engagement, benessere e prestazioni delle persone».

Who's Who

Fiorella Crespi

Direttrice dell'Osservatorio Smart Working del Polimi

Fiorella Crespi

In questo quadro, i manager giocano un ruolo fondamentale. Devono, infatti, da una parte farsi promotori del benessere e flessibilità alle persone, dall’altra mantenere alta la loro motivazione e garantire i risultati aziendali.

Un manager per essere davvero “smart” deve avere una serie di caratteristiche che combinano aspetti legati alla managerialità – come il saper far rispettare le scadenze e gestire gli obiettivi – con alcuni tratti più legati alla leadership vera e propria, che ha a che fare con il contribuire alla crescita delle persone e il saperle valorizzare, dando loro feedback continui. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio, chi ha un capo realmente “smart” ha ricadute positive in termini di benessere, engagement e prestazioni. «Questo porta a dire che la leadership, esattamente come le modalità di organizzazione dal lavoro, ha un ruolo fondamentale nel garantire il successo dello Smart Working».

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